Alle ore 1,23 del 26 aprile 1986,
in un’area di foreste e boschi, nel punto in cui il fiume Prypiat incontra il Dnieper, a 7 Km a sud dal confine con la Bielorussia,
nell’unità 4 della centrale nucleare di Chernobyl, una cittadina a nord dell’Ucraina, vi fu la prima di una serie di esplosioni che
distrussero il reattore e il fabbricato della quinta unità della centrale.
Questo incidente è diventato il più grande disastro tecnologico del XX secolo
Diversi fattori hanno fatto sì che l’incidente fosse peggiore di altri probabilmente accaduti in altri impianti.
La centrale di Chernobyl era stata progettata negli anni ’60 con il duplice scopo di produrre energia elettrica e
contemporaneamente plutonio per scopi militari. Questo duplice obiettivo aveva portato i progettisti a seguire
alcune soluzioni costruttive particolarmente rischiose come la contemporanea presenza di grafite e acqua all’interno
del nocciolo del reattore che ad una temperatura elevata danno luogo a gas di idrogeno altamente esplosivi.
Inoltre la necessità di prelevare il plutonio richiedeva la possibilità di rimuovere le barre di combustibile per la
rigenerazione, dalla cima del reattore per mezzo di una gru; questo fece sì che il reattore fosse troppo alto per le
strutture di contenimento usate in Occidente e negli altri reattori sovietici.
Il reattore n.4 poi era del tipo RBMK, ossia un reattore ad uranio naturale ad
acqua bollente a canali in pressione, refrigerato con acqua leggera e moderato
con la grafite.
In questi tipi di reattore, se l’acqua bolle e produce una bolla di vapore, la
reattività, invece di diminuire come avviene negli altri reattori, aumenta,
causando la velocizzazione della reazione nucleare.
Tutti questi fattori entrarono in gioco quella notte a causa di un errore umano, causato
da un esperimento che si stava svolgendo in quelle ore.
Alle 01.00 del 25 aprile la potenza del reattore n.4 viene diminuita e alle 14.00 dello stesso giorno il sistema di raffreddamento del nocciolo di emergenza viene disinnestato
(violando i principi di sicurezza).
Alle 23.00 la potenza del reattore scende a 700 Mw.
Un errore dell’operatore fa scendere la potenza fino a 30 Mw. Il reattore è in condizione di instabilità.
All’ 01.23.04 del 26 aprile l’operatore chiude la valvola di emergenza verso la turbina, l’ultimo sistema che avrebbe
salvato il reattore. Dopo pochi secondi la reattività del nocciolo comincia a crescere e le barre di controllo non
riescono più a bilanciarne ’aumento; la temperatura del nocciolo aumenta in maniera irreversibile e in 40 secondi la
potenza passa da 200 a 100000 Mw e il reattore esplode. All’ 01.23.45 l’esplosione divelte la parte alta delle pareti
e il tetto dell’edificio (il reattore non aveva un contenimento interno).
Settecento tonnellate di grafite e cinquanta di uranio altamente radioattivi fuoriuscirono, insieme a circa trentacinque
tonnellate di diversi radionuclidi, tra cui plutonio, iodio, cesio, stronzio, xeno…
Questo combustibile nucleare sprigionò una radioattività equivalente a 200 bombe atomiche del tipo di quelle
sganciate su Hiroshima e Nagasaki.[1]
Un’altra parte colò nei locali sottostanti la cavità del reattore e 10 tonnellate invasero l’intera centrale sotto forma di
detriti minuti e polveri.
Furono immediatamente rovesciate sulle masse di combustibile ancora scoperte enormi quantità di materiali
schermanti ed assorbitori neutronici. Alcune aree della centrale erano talmente radioattive da consentire la
permanenza degli operatori per non più di uno o due minuti.